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Per una riappropriazione gentile del corpo

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Storie di artiste che hanno rivendicato la propria libertà

Per quanto ne sappiamo, avere un corpo è una prerogativa piuttosto importante per stare al mondo, l’unica maniera di esistere nel qui e ora. E sul corpo, in effetti, si sono costruite e si costruiscono le storie: quelle collettive. Sul corpo si esauriscono le narrazioni di interi popoli, di momenti storici, di strati sociali , economici, culturali. Si mette in piedi un sistema di rappresentazione, che ha delle regole, dei limiti e dei confini entro i quali vengono delineate le prerogative stesse. Tra cui quelle di genere. La questione è che le aspettative non sempre sono aderenti alla realtà individuale, quella che riguarda esclusivamente il singolo e il suo modo, personale, di stare al mondo. E, a volte, la necessità è quella di riappropriarsi del proprio corpo. In maniera tridimensionale.

L’artista Barbara Kruger, dopotutto, l’ha detto bene nel 1989: your body is a battleground, e ciò che oggi è un diritto, ieri è stato oggetto di lotte e di battaglie (e c’è ancora tanta strada da fare).

Alcune domande

È il 1978, quando l’artista argentina Lea Lublino sfila per la Senna insieme al collettivo Femmes/Art. Con sé porta uno striscione nel quale spiccano 25 domande sugli stereotipi femminili (Interrogations sur la Femme): La femme est-elle une image immaculée? La femme est-elle une putain? La femme est-elle un être inferieur? L’azione si conclude con il lancio dello striscione proprio nella Senna. E qui ci chiediamo: ma se ci ponessimo, oggi, le stesse domande, quali risposte verrebbero fuori? Il punto non è forse cercare di destrutturare la narrazione che si è costruita intorno a come dovrebbe essere una donna, quali comportamenti dovrebbe adottare e quali ruoli dovrebbe ricoprire?

10 anni dopo, nel 1989 (lo stesso anno dell’opera di Barbara Kruger), anche il collettivo Guerrilla Girls si pone un’interessante domanda: Do Women Have to Be Naked to Get into the Met Museum? E poi un’osservazione – che ne fa da sottotitolo – less than 5% of the artists in the Modern Art Section are women, but 85% of the nudes are female. Questa iniziativa – nello specifico – voleva sottolineare la preminenza maschile in ambito artistico, da una parte, ma anche la presenza femminile in una condizione passiva di rappresentazione, soprattutto di nudo. La polemica è evidente, il suo obiettivo anche. E allora come non pensare di dover ripartire (anche) dal corpo?

Alcune azioni

Già a partire dagli anni Settanta, il corpo femminile è un consapevole campo di battaglia. L’arte performativa si fa sempre più spazio, spazio rivendicato da molte artiste che con esso si confrontano e si esprimono.

Pioniera dell’approccio stesso, in un’ottica di indagine sulla propria corporeità, Marina Abramović ha usato e espresso il proprio corpo in totale emancipazione. L’artista serba si è confrontata con i limiti, con il superamento del dolore, della fatica, della sua stessa resistenza. Un corpo libero, il suo: libero di sfregiarsi, di offrirsi, di urlare, di tacere, di attendere, di esplorarsi. 

Particolarmente esplicita anche la produzione di Ana Mendieta, che ha lavorato tanto sul rapporto tra corpo e natura, ma non solo. L’artista ha elaborato opere di body art che rivendicano un’immagine femminile libera dallo sguardo maschile, da quel male gaze di cui parliamo tanto anche oggi. In questo senso, Untitled (Facial Hair Transplants), Untitled (Cosmetic Facial Variations) e Untitled (Glass on Body Imprints) sono opere particolarmente significative. 

O ancora, ORLAN, che ha lavorato alla ridefinizione del corpo femminile e dell’identità di genere. Qui ti vogliamo raccontare soprattutto le performance nelle quali lei subiva dei veri e propri interventi chirurgici, nei quali lei restituiva un’immagine volutamente esagerata, innaturale. Cosa intendiamo? Questo: Omniprésence, performance nella quale lei si sottopone ad un’operazione per avere la fronte come la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci, il mento come la Venere di Botticelli, la bocca come l’Europa dipinta da François Boucher.

Alcune conclusioni

Il collettivo Guerrilla Girls ha riproposto il manifesto del 1989 anche nel 2012. Le differenze? Less than 4% of the artists in the Modern Art Section are women, but 76% of the nudes are female. Ancora un bilancio che fa riflettere.

Ma cosa possiamo fare? Perché abbiamo parlato di riappropriazione gentile? La lotta e tutte le azioni che ti abbiamo raccontato non lo sono sicuramente. Ad essere gentile deve essere soprattutto l’approccio con cui guardi e percepisci il tuo corpo, che non solo è unico e speciale – sempre – ma ti permette anche di essere nel qui e ora, e prova a dirci che è poco. Scegliere liberamente sul tuo corpo è la vera, grande rivoluzione.

Lo sapevi che …

La riappropriazione gentile del corpo può aiutare le persone a sviluppare una maggiore consapevolezza dei loro bisogni fisici e emotivi e a imparare a prendersi cura di se stesse in modo amorevole e compassionevole.

Si tratta di un percorso personale e può richiedere tempo e pazienza per vedere i risultati, ma molte persone che lo hanno praticato hanno trovato una maggiore pace interiore, autostima e benessere generale.

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